Ridere in classe, favorisce clima positivo e concentrazione. “Un insegnante antipatico non è un professionista”

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Può una semplice risata riportare l’armonia in una classe? Sì, lo conferma l’esperienza comune, ma c’è di più: oltre a creare un clima positivo dal punto di vista emotivo, ridere favorisce la concentrazione.

A sostenere questa tesi tanto provocatoria quanto rivoluzionaria è Lucia Suriano, insegnante, autrice di Educare alla felicità ed ambasciatrice nel mondo dell’International Laughter Yoga University, chiamata dall’ADI a chiudere la prima sessione di interventi nel seminario internazionale sull’educazione in programma a Bologna il 24 e il 25 febbraio (vedi programma).

Prof.ssa Suriano, tutti gli insegnanti possono potenzialmente creare un buon clima emotivo in classe? Quanto incidono o interferiscono il temperamento, le esperienze personali, l’indole?

“Sì, tutti potenzialmente possono; certamente contano moltissimo la storia personale e le esperienze di ciascuno; il temperamento e l’indole costituiscono un vantaggio, ma non ritengo siano fondamentali, poiché un insegnante è un professionista che oltre alle competenze del sapere e della didattica deve aver sviluppato notevoli competenze socio-emotive”.

E gli insegnanti ‘antipatici’ come fanno? Non dovrebbero avere diritto di cittadinanza nelle aule?

“Bella questa battuta! Un insegnante “antipatico” non è un professionista, al massimo possiamo parlare di un insegnante poco empatico e allora, possiamo iniziare a riflettere su come si possa sviluppare la capacità di entrare in empatia con l’altro, del resto la nostra non è definita professione a relazione d’aiuto?”.

Che cosa significa ridere con i propri allievi?

“Significa svelare la propria umanità, significa creare le condizioni perché il processo di apprendimento trovi le condizioni per avvenire in modo significativo e non semplicemente come sterile processo finalizzato all’emergenza contingente, cioè l’interrogazione”.

Lei insegna; cosa quotidianamente si ripete prima di entrare in classe?

“Ogni giorno so che ho la possibilità di imparare; prima di entrare in classe respiro, sorrido e… Buongiorno!”.

In quale ordine e grado di scuola le risate portano più beneficio all’apprendimento?

“La risata non conosce età, i benefici avvengono a livello psico-fisico ed emotivo, non possiamo scegliere di smettere di ridere. Il nostro corpo ha bisogno della risata come del pianto poiché nasciamo “cablati per fare l’esperienza della felicità” (C. Pert)”.

Quale tipologia di docente mostra più interesse verso il suo approccio? Si rivolgono a lei quelli che già sanno ridere o quelli che vorrebbero imparare a farlo ma sentono pressioni, inibizioni?

“Si rivolgono a me sia insegnanti che sanno già fare un buon uso della risata sia coloro che sentono di aver smesso da tempo. Il minimo comune denominatore è il desiderio di ricominciare o di continuare a stare bene a scuola, poiché la fatica degli ultimi anni e il malcontento non sono una leggenda”.

Da dove sono partiti i suoi studi, le sue riflessioni? Dove pensa che la porteranno?

“Quasi dieci anni fa mi sono imbattuta in una disciplina indiana che si chiama Yoga della Risata ideata dal medico dott. Madan Kataria. Durante il primo corso di formazione, tra le varie applicazioni che la disciplina può avere, mi spiegarono come in India in molte scuole si praticasse questa disciplina e io risi sarcasticamente e dissi: “in Italia è praticamente impossibile!”. I benefici della pratica costante della disciplina a livello personale mi portarono ad osservare i momenti di ilarità in classe, quando avvenivano, perché, e soprattutto mi ritrovai a non poter più pronunciare le famose affermazioni “smettetela di Ridere, non c’è nulla da ridere…” e così via. Spesso parlavo ai miei alunni dell’importanza del saper ridere sfruttando l’occasione per educare a “ridere con…” e non a “ridere di…” fino a quando furono proprio loro a chiedermi di smettere di parlarne e di iniziare a provare.

Ho iniziato a comprendere che in realtà c’è un grande bisogno di tornare a ridere in modo sano, che un semplice esercizio di risata incondizionata può offrire più vantaggi che svantaggi ad un docente che sa instaurare una relazione con i suoi alunni. Portare la risata nel mondo della scuola richiede molta preparazione, un grande lavoro su di sé soprattutto molto rispetto del ruolo educativo che la scuola svolge nella vita di ciascun alunno.

Ho compreso molto presto che una via importante da percorrere era cercare di fondere quanto sapevo sulla risata con le indicazioni di Goleman per lo sviluppo dell’Intelligenza emotiva; ho avuto la fortuna di incontrare professionisti di altri ambiti, soprattutto del mondo socio-sanitario che mi hanno indicato la via delle neuroscienze e della psicologia positiva. Così è nato il progetto di Educare alla Felicità che mantiene la risata come punto fermo, ma allo stesso tempo è molto, molto altro.

La strada che intendo percorrere è ancora quella della ricerc-azione, della sperimentazione suffragata da una profonda conoscenza di ciò che ci giunge dagli studi scientifici, avendo come obiettivo lo sviluppo di un percorso che porti a vivere l’esperienza dell’apprendimento come qualcosa da desiderare e non da rifuggire; per fare questo dobbiamo puntare la nostra attenzione non solo sulle funzioni cognitive, ma anche sui processi emotivi e sull’importanza del movimento del corpo”.

Si è portati a pensare che la concentrazione e di conseguenza le prestazioni aumentino quando si è più tesi, una risata sembra andare nella direzione opposta…

“Il mio intervento al convegno internazionale organizzato dall’ADI sarà incentrato nella prima parte a spiegare proprio come la risata, nella sua funzione fisiologica, scateni nel nostro corpo le condizioni per favorire la concentrazione. Il mio compito è proprio quello di ricucire la frattura dicotomica tra scuola e risata, facendo riscoprire quest’ultima nella sua funzione di potente alleata del processo di apprendimento e non come nemica da combattere”.

Quanto la sua teoria è in debito con la lunga tradizione di studi sul comico, partendo da Aristotele per finire con Freud e Bergson?

Vede, quando all’università frequentai un corso di sociologia della letteratura il cui tema era proprio le “teorie del comico nella letteratura”, ebbi modo di approfondire le teorie dei grandi maestri che lei ha menzionato, allora mai avrei immaginato che questi studi mi sarebbero serviti così tanto. Oggi posso portare avanti il mio lavoro e le mie ricerche, certa che grandi maestri come Aristotele, Bergson e Freud siano una base sicura su cui poggiare per spiccare il volo con la ‘leggerezza’ che Calvino ci ha insegnato nelle Lezioni americane”.

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