Prove INVALSI 2017: ancora differenze tra Nord e Sud. Sempre meno boicottaggi
I risultati delle prove Invalsi del 2017, in pubblicazione oggi, attestano che Nord Est e Nord Ovest restano realtà virtuose.
Il Centro è nella media nazionale. Il Sud arranca, ma non è tutto così “nero”: al netto della preparazione “in ingresso” degli studenti e del livello familiare e territoriale nove delle prime 10 scuole (su un totale di 1.400 scelte come campione statistico nel 2016) con più elevato “valore aggiunto” in italiano sono meridionali.
Le scuole del Nord-Est e del Nord-Ovest si confermano piuttosto valide, con gli istituti tecnici che si scrollano di dosso l’etichetta di “scuole di serie B” e ottengono ottimi risultati, in alcuni casi persino migliori dei licei. Al Centro si resta nella media nazionale, con punte di eccellenza soprattutto nel primo ciclo (primarie e medie).
Il Meridione, seppur con l’eccezione della Puglia, resta più distante, con diversi istituti che sono accusati di aiutare, in Calabria, lo scorso anno, il “cheating” è stato rilevato già alle scuole primarie – in Campania dalle medie.
Confrontando i risultati con quelli del 2016, nove delle prime 10 scuole con voti più elevati in italiano sono meridionali, in matematica sono 10 su 10: ciò significa che nel Meridione alcune singole scuole, non poche, riescono a far migliorare i loro studenti.
In quinta primaria Nord Est e Nord Ovest si collocano a ogni prova (sia in italiano sia in matematica) sopra la media (in seconda superiore anche di circa 6 punti), a differenza delle regioni meridionali che, in alcuni anni, si collocano al di sotto della media nazionale anche di 10-12 punti.
I ragazzi meridionali partono addirittura in vantaggio rispetto ai colleghi settentrionali, se si analizzano le basi di partenza, per poi perdere punti. Anche il livello di istruzione della famiglia d’origine ha un peso: avere entrambi i genitori laureati potrebbe dare 4/5 punti percentuali in più. Il peso degli alunni stranieri non è un problema visto che sono presenti maggiormente nel Centro-Nord.
I boicottaggi sono ormai ridotti ai minimi termini (quasi il 100% degli istituti svolge regolarmente le prove) e anche la restituzione a settembre degli esiti dei test è accolta da presidi e docenti: se i primi anni quasi il 20% di “plessi” snobbava i dati Invalsi oggi appena il 6% di istituti non ha scaricato gli esiti delle rilevazioni.
Le singole prove, nel tempo sempre più condivise con i professori, non sono mirate su quesiti nozionistici, ma focalizzate su competenze di base.
Il lavoro della preparazione dei test è molto intenso, e si avvale della consulenza di esperti ben conosciuti anche in campo internazionale e che, nello stesso tempo, padroneggiano il nostro sistema scolastico; alla costruzione di una prova contribuisce il lavoro di circa 250 docenti di livelli scolari e provenienza geografica differenti.
Le prove standardizzate costituiscono una realtà complessa, che comprende una varietà di strumenti di verifica e di metodologie; in particolare si possono distinguere tre categorie di prove:
test che verificano i risultati dei singoli alunni alla fine di un anno di scuola o alla fine di un livello scolastico, e hanno un impatto significativo sulle loro carriere educative;
test che hanno lo scopo principale di monitorare e valutare le scuole e/o il sistema educativo nel suo complesso;
test che hanno principalmente lo scopo di facilitare il processo di apprendimento dei singoli alunni, identificando i loro specifici bisogni di apprendimento per adattare di conseguenza l’insegnamento.
La somministrazione di prove standardizzate si è gradualmente diffusa in Europa negli ultimi due decenni.
Attualmente quasi tutti i Paesi europei fanno uso di prove standardizzate di apprendimento. In particolare prove nazionali sono utilizzate in Inghilterra, sugli alunni di 7 ed 11 anni di età, nonché nell’esame di fine ciclo dell’obbligo (Gcse), in Francia sugli alunni di 7, 11 e 14 anni, in Germania sugli alunni del terzo e dell’ottavo anno dell’istruzione obbligatoria.
Il dibattito sulle caratteristiche e sulle modalità di utilizzazione dei test è sempre molto vivace. Diverse sono le questioni in discussione:
l’ambito da sottoporre a verifica: oggi si ritiene più importante verificare il possesso di competenze transdisciplinari;
l’uso delle prove all’interno del sistema di valutazione nazionale: in quasi tutti i Paesi i test vengono utilizzati per l’autovalutazione dalle scuole, in otto Paesi sono utili anche per la valutazione esterna; inoltre i risultati dei test sono uno degli indicatori utilizzati per individuare le scuole “a rischio”;
la pubblicazione dei risultati delle prove a livello di singola scuola: in Inghilterra, Scozia, Svezia, Olanda, Danimarca e alcuni altri Paese il governo pubblica direttamente i risultati o richiede alle scuole di pubblicarli; la maggioranza dei Paesi europei preferisce però pubblicare solo i risultati aggregati;
la frequenza dei test e il loro peso all’interno del sistema: test ripetuti e con un peso eccessivo sulla carriera di studenti e insegnanti determinano il rischio di “teaching to the test”, ovvero focalizzare l’attività di insegnamento sul superamento del test.