La scuola regredisce. Dal Piano Nazionale Informatica al Piano Nazionale Scuola Digitale

Di Lalla
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Enrico Maranzana – Ventiquattro anni separano i due interventi ministeriali, del 1989 il primo, di quest’anno il secondo, provvedimenti che aprono scenari educativi molto, molto differenti.

Enrico Maranzana – Ventiquattro anni separano i due interventi ministeriali, del 1989 il primo, di quest’anno il secondo, provvedimenti che aprono scenari educativi molto, molto differenti.

Il clima culturale degli anni 80, ispiratore del PNI, traspare dai seguenti episodi:

  • Il Centro Europeo dell’Educazione di Frascati [Miur] promuove la sperimentazione IRIS [Iniziative e Ricerche per l’Informatica nella Scuola] per sondare se l’’introduzione dell’informatica nella scuola dell’obbligo (8/16 anni) abbia una valenza formativa simile a quella del latino;
  • il ministro Franca Falcucci denomina “Trattamento testi” la materia che in commissione era stata chiamata “Trattamento della parola”;
  • I piani d’aggiornamento per docenti propongono un’immagine dell’informatica centrata sul suo metodo disciplinare al fine di integrare e unificare tutti gli insegnamenti;
  • Giovanni Lariccia, informatico cognitivo, scrive: “capire l’informatica in forma concettualmente autonoma dai calcolatori non solo significa capire in modo più generale quello che potenzialmente qualsiasi calcolatore può fare, ma anche concepire modi di agire economici e razionali anche in ‘mondi possibili’ privi di calcolatori”.

Le scelte ministeriali degli ultimi anni, invece, derivano da sollecitazioni esterne alla scuola: le direttive e le indagini europee, l’invasione tecnologica.

Le differenti filosofie che hanno animato il ministero traspaiono anche dal nome assegnato ai due provvedimenti: informatica e digitale.
I loro corrispondenti, in ambito edile sono: edificio e mattone. Le attività ingegneristiche riguardano il primo, il lavoro del muratore il secondo: la capacità progettuale da un lato, gli aspetti tecnico-operativi dall’altro.

Riprovevole il fatto che il ministero, prima di introdurre il nuovo piano per la modernizzazione della strumentazione didattica, non abbia capitalizzato l’esperienza e non si sia domandato perché

  • il Piano Nazionale per l’introduzione dell’informatica nella scuola secondaria superiore non abbia prodotto esiti significativi;
  • i docenti di matematica e di fisica, coinvolti nei piani d’aggiornamento, non siano riusciti a convincere i colleghi della necessità di progettare percorsi d’apprendimento finalizzati, unitari, motivanti.

Se avesse condotto le dovute, necessarie indagini avrebbe accertato che i tre concetti portanti l’attività d’aggiornamento per la diffusione della cultura informatica sono sintetizzati nelle parole
sistema – modello – processo

e avrebbe constatato che la relativa disseminazione non è avvenuta per la non ricettività dell’apparato, refrattario ai cambiamenti, ancorato alla tradizione, elusivo della legge.

Una negligenza che, alla luce di recenti provvedimenti, assume una colorazione ancor più cupa e preoccupante: il ministero ha snaturato il dettato dei regolamenti di riordino del 2010 che, nel profilo culturale, educativo, professionale stabiliscono che gli studenti al termine dei percorsi liceali dovranno “comprendere la valenza metodologica dell’informatica nella formalizzazione e modellazione dei processi complessi e nell’individuazione di procedimenti risolutivi”.

Le indicazioni nazionali stilate dal Miur, invece di dare seguito alle finalità educative espresse in una sede gerarchicamente superiore e richiamate solo nominalmente, orientano l’insegnamento della matematica, al cui docente è affidato anche quello dell’informatica, al “conoscere”, “comprendere”, “acquisire”, “studiare”, “approfondire”, “applicare” sterilizzando la prevista attività di laboratorio, di problem solving, chiave di volta d’una didattica orientata alla promozione delle competenze informatiche e, più in generale, allo sviluppo e al consolidamento delle capacità degli studenti.

All’origine di quanto descritto si può collocare l’assenza di professionalità degli insegnanti medi che non distinguono la mission della scuola da quella universitaria, che non progettano percorsi d’apprendimento unitari, coordinati, controllati, che si disinteressano del discredito in cui versa la scuola, che non protestano per la mancata applicazione delle norme sull’autonomia delle istituzioni scolastiche, che non esplicitano il contenuto della funzione docente per valorizzarla e difenderla.

Problemi che sarebbero superati se i Piani dell’Offerta Formativa fossero concepiti in conformità al sistema di regole in cui le scuole sono immerse. A riguardo si vedano in rete “La promozione delle competenze”, “Coraggio! Organizziamo le scuole”, “Valutare la democraticità d’una scuola”.

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