Riforma. Bastico: Italia perde occasione. Modifiche al Senato solo parziali
“Non credo che al Senato cambierà granché. Posso solo dire come farei io la riforma della scuola se fossi al posto di Renzi”. La professoressa di Diritto, Mariangela Bastico, ex senatrice del Pd, viceministro dell’Istruzione nel Governo Prodi, franato nel 2008, autrice della prima legge regionale sul diritto allo studio (intitolata “Non uno di meno”) quando era assessore in Emilia Romagna, dà ora l’impressione di chi ha smesso di interloquire con il Pd.
“Non credo che al Senato cambierà granché. Posso solo dire come farei io la riforma della scuola se fossi al posto di Renzi”. La professoressa di Diritto, Mariangela Bastico, ex senatrice del Pd, viceministro dell’Istruzione nel Governo Prodi, franato nel 2008, autrice della prima legge regionale sul diritto allo studio (intitolata “Non uno di meno”) quando era assessore in Emilia Romagna, dà ora l’impressione di chi ha smesso di interloquire con il Pd.
I rapporti con la parlamentare Francesca Puglisi e i responsabili scuola del partito sono dei ricordi. “Con questa riforma e con i modi con i quali è stata condotta – aggiunge la professoressa Bastico – l’Italia ha perso una grande occasione”.
Senatrice Bastico, mi dia intanto un giudizio complessivo della Riforma.
“Il mio giudizio è negativo anche se dentro il testo ci sono elementi condivisibili. Mancano almeno due elementi strutturali, o meglio, se ci sono non sono condivisibili”.
Il primo.
“Oggi più che mai la scuola italiana avrebbe bisogno di ribadire che dovrebbe essere una scuola del ‘Non uno di meno’, poiché uno dei grandi problemi della scuola è che non riesce a insegnare a coloro che partono svantaggiati e ai ragazzi e alle ragazze che non hanno pari opportunità, tanto che il tasso di abbandono è del 17,6 per cento, un triste primato europeo. Abbiamo inoltre il tristissimo primato europeo di avere il maggior numero di ragazzi tra i 15 e i 24 anni che hanno lasciato la scuola e che nello stesso tempo non sono al lavoro”.
Vuole dire che occorreva partire da qui?
“Era questo il nucleo strategico che si doveva dare alla scuola. Era questa la missione”.
E invece?
“E invece la riforma ignora tutto ciò e si limita ad alcuni aspetti di carattere organizzativo. I quali però danno l’idea di scuola esattamente opposto al ‘Non uno di meno’. Questo è un primo grande problema strutturale”.
Veniamo al secondo elemento strutturale.
“Il governo o chi ha scritto la riforma non vuole comprendere che la scuola non è paragobabile a un altro luogo di lavoro. Non è un’azienda, né un’organizzazione gerarchica e invece si tende a pensare che sia cosi. La scuola è invece una comunità dotata di un elemento caratterizzante: la relazione quotidiana, prolungata nel tempo, per anni e anni, tra adulti e adolescenti. Ed è il luogo delle relazioni tra adulti e bambini e adolescenti. Questo aspetto, cioè che siamo dentro una comunità educante fondata su relazioni durature tra adulti e adolescenti, e tra adulti, è completamente ignorata. Si utilizzano strumenti organizzativi che sono propri di un’azienda o di una pubblica amministrazione, che invece sono diverse”.
Quali sono i principi cardine della riforma che le fanno ritenere che sia così?
“Penso al ruolo che si vuol dare al dirigente scolastico, sia per l’assunzione del docente, sia per la a valutazione di quest’ultimo. Penso all’immissione nella scuolaa i elementi di competizione, mentre nelle scuole servirebbe la collaborazione di chi vi opera. Si va insomma verso l’opposto”.
Torniamo al primo punto.
“Nel momento in cui si pensa al finanziamento delle scuole paritarie, si pensa di privilegiare e potenziare quelle scuole che hanno le migliori opportunità. Invece di attenuare le differenze, le si aumenta. Si pensi a questa storia del 5 per mille. Nella precedente legislatura io sono stata la prima a presentare una proposta di legge per creare un fondo finanziato con il 5 per mille dal quale potessero attingere le scuole con maggiori difficoltà. Le scuole, non ‘la’ scuola del proprio figlio come è stato scritto nella riforma”.
La norma è stata poi sospesa.
“Sì, la norma è stata poi stralciata”.
Ma, come si suol dire, basta il pensiero…
“Diciamo che è il tipico esempio di ribaltamento del pensiero”.
Come si è arrivati a tutto questo, secondo Lei? Come mai il Partito democratico è arrivato a disegnare una riforma con le caratteristiche che si delineano?
“In questo disegno di legge entrano diverse cose. Io penso che il governo Renzi abbia voluto portare nella scuola l’idea del capo, nel senso del sindaco, del capo del governo, in questo caso del capo d’istituto, che deve accentrare tutto. L’idea che ci sia un responsabile che nel bene e nel male decida le cose. E’ un meccanismo applicato in divesi ambiti e ora s’è voluto applicarlo alla scuola. Questa è l’applicazione del pensiero renziano ma è da un po’ che si pensa che i sindacati e i corpi intermedi non servano”.
Un problema però ci sarà stato.
“Certo, quelle renziane sono anche risposte a problemi veri che l’Italia ha, ma sono risposte non giuste. Intorno a questo principio del capo gira il ragionamento della meritocrazia e della valutazione dove il bravo deve essere premiato, secondo un modello che avevano già visto con la Moratti e in parte con la Gelmini”.
A proposito di Gelmini. Magari dietro la riforma c’è solo una straordinaria esigenza di tagliare la spesa.
“Mah, non vedo qui la logica gelminiana del taglio alla spesa, ma l’atteggiamento di dare una risposta che si colloca in un sistema che viene applicato ad altri ambiti, come dicevo prima. Tagli non ne vedo. E anzi vedo positivamente le assunzioni dei precari anche se attorno alle assunzioni vedo anche problemi applicativi molto grossi”.
Vediamo.
“Quando nel 2006 programmammo con il governo Prodi il piano triennale di 150.000 immissioni in ruolo, avevo fatto un po’ di conti. Quel piano in tre anni avrebbe dato un bel colpo alle graduatorie che allora si chiamavano permanenti. Purtroppo questo piano, a causa della caduta del governo, non andò in porto e si bloccò. Oggi anche le 100.000 assunzioni programmate da Renzi non risolvono il problema della precarietà. Del resto, se hai un problema grande che risolvi parzialmente non puoi dire che lo hai risolto. Citando Giuseppe Bagni, il presidente del Cidi (Centro di iniziativa democratica insegnanti, ndr), sarebbe come pretendere di bonificare un terreno togliendo solo una parte dell’acqua: è ovvio che rimane la palude. C’è un evidente passo avanti, ma il problema non è certo risolto e vedo anche tante discriminazioni”.
Si introduce l’organico funzionale.
“Questo è un aspetto interessante. Ma segnalo che l’organico funzionale non è una novità. Nacque con l’autonomia nel 2000 e adesso anche questo organico, beh, non può risolvere il problema delle supplenze perché non è ancora chiaro quanti docenti si daranno all’organico delle autonomie”.
I più critici sostengono che l’organico funzionale nasconda in realtà l’esigenza di eliminare le supplenze.
“Io penso che una parte dell’organico possa essere usata per le supplenze e non sarebbe neanche scandaloso, ma non è praticabile che tutte le supplenze siano risolte così. Anche perché l’organico delle autonomie dovrebbe costituire la risorsa aggiuntiva per il sostegno dei ragazzi in difficoltà, per le iniziative che creano opportunità nelle scuole, e se invece lo si usasse per le supplenze sarebbe poco utile”.
Ci saranno altri aspetti positivi, oltre alle immissioni in ruolo.
“Altra cosa positiva è stata recuperare discipline come musica e storia dell’arte, ma attenzione: stiamo solo aggiungendo un’ora qui e là. A partire dalla scuola media c’è un aumento di discipline rispetto alla scuola primaria con un numero ridottissimo di ore settimanali, specie alle superiori, tanto che il loro insegnamento rischia di disperdersi. Il fatto di aumentare il numero delle materie ma con poche ore non serve se non ad aumentare la frammentazione”.
E allora?
“Allora occorreva mettere mano a quello che aveva tagliato la Gelmini, Si pensi ai laboratori, tagliati, negli istituti professionali”.
Bene. Allora mi dica come farebbe, Lei, la Buona scuola, se fosse oggi al posto di Renzi.
“Punterei su tre direzioni. La prima cosa che avrei fatto al posto di Renzi sarebbe stata una discussione capace di coinvolgere gli intellettuali di questo paese, i fisici, i filosofi, le università, per definire i livelli di competenza che servono oggi. Abbiamo un urgente bisogno di stabilire che cosa un ragazzo entro i sedici anni deve sapere e saper fare, nella lingua italiana, nella musica, nella lingua straniera e così via. Da quello poi si sarebbe programmata una vera organizzazione con i vari raggruppamenti disciplinari. La seconda sarebbe stata ripristinare l’obbigo d’istruzione a sedici anni”.
La terza?
“Occorreva e occorre impegnarsi sull’innovazione e la didattitica, con modalità nuove di insegnamento, più legate ai laboratori e con modalità che riescano a catturare l’attenzione e le motivazioni dei ragazzi, mentre ora noi continuiamo a disperderli. Ci voleva il coraggio di aprire un dibattuito che sulla scuola non c’è. Stiamo perdendo un’occasione davvero grande e mi rammarico perché anche nel dibattito parlamentare non si è riusciti a produrre un coinvolgimento nazionale. In Finlandia e in Inghilterra ad esempio si è riusciti. Occorre sapere che tipo di scuola si vuole nel 2015 e poi trovare strumenti e contenuti adeguati a questi saperi”.
Una consultazione c’è stata, pare.
“È stata una cosa così. Non ho visto una volontà vera di coinvolgere e di ascoltare e le cose non sono cambiate. Non sono stati sentiti gli intellettuali, i filosofi e le Università, che pure sono chiamate a formare i nuovi docenti. Mi sembra che la scuola continui a essere lasciata da parte. Io sento che chi scrive e parla di scuola pensa alla scuola che ha fatto da piccolo. In Francia, ripeto, hanno fatto un dibattito nel Paese. Qui no. Sento una mancanza del mondo della cultura verso la scuola. Vogliamo dire cosa deve insegnare la scuola a ragazzi in questa epoca dell’informatica mentre abbiamo programmi del novecento e dell’ottocento? Non vede? Si allarga il disinteresse dei ragazzi verso le cose che si fanno alle superiori. Occorreva partire da qui e non da concetti come organizzazione, capo, responsabilità. Come si fa a pensare che il dirigente scolastico possa essere il resposabile del risultato educativo e di istruzione all’interno di una scuola dove invece il risultato scaturisce dalla relazione tra docenti e alunni? È proprio un travisamento. Gli elementi di contrarietà sono molti e profondi. Peraltro non ho visto aumentare il fondo per le scuole e l’incentivazione del 5 per cento introduce elementi di competitività e criticità”.
Come giudica la risposta data dai docenti e dal personale Ata con lo sciopero del 5 maggio?
“La risposta è stata molto forte. E, se posso dire, è stata addirittura più forte di quella data ai tempi dei tagli, a riprova che probabilmente si è colto che c’è un disegno preciso”.
I poteri affidati al dirigente hanno evidentemente scosso i lavoratori della scuola.
“Il fatto che il dirigente possa scegliersi i docenti potrebbe creare privilegi, discriminazioni e sono aspetti che speriamo non si verifichino. Però c’è un pericolo vero: quello di far perdere un elemento essenziale, cioè il pluralismo, poiché è chiaro che un dirigente che ha una determinata visione, pur senza voler fare alcuna discriminazione illegittima, finirà obiettivamente per privilegiare quell’insegnante rispetto all’altro in base a una ideologia, come si fa legittimamente nella scuola privata. Ma nella scuola pubblica la Costituzione vuole invece che il ragazzo si formi in un ambiente pluralistico. Se il dirigente potrà sempre più scegliere è chiaro che il pluralismo sarà limitato. E questo è un elemento fortemente modificativo dell’attuale sistema”.
La riforma comprende l’assunzione di oltre centomila precari. Siamo quasi in giugno, ce la faranno?
“Io avrei auspicato che ci fosse lo stralcio del piano di assunzioni, da attuare con decreto legge. Conosco bene i tempi delle assunzioni e posso assicurare che siamo al limite estremo. Sarebbe stato molto più opportuno lo stralcio e poi dare un tempo differente per la discussione sulla riforma, stimolando un dibattito nel paese per definire i livelli essensiali del sapere”.
Qualcuno paventa rischi al Senato.
“Da quel poco che ne so, non mi risulta che ci siano state aperture che modifichino la riforma. Le modifiche saranno parziali”.
Veniamo al piano straordinario della mobilità, atteso da decine di migliaia di docenti.
“Lo faranno? Non lo so. Non conosco questo aspetto”.
Qualcuno pensa già a ricorsi contro la Buona scuola,
“Penso che spazi per ricorsi ci saranno e i ricorsi saranno tanti. Ma per la scuola i ricorsi non sono certo una novità”.
Quali sono le criticità, secondo Lei?
“Riguardano proprio il tema delle assunzioni. Ci sono discriminazioni. C’è chi entra e chi rimane escluso. Una volta chiuse le Ssis, non c’erano altre possibilità di abilitarsi se non seguendo certi percorsi. E chi li ha fatti è perché non c’erano altre possibiluità. Il tema è che prima di arrivare al ricorso si poteva trovare il dialogo con i sindacati e con le associazioni che portasse a dei risultati. Ci sono stati documenti sindacali unitari, mai visti prima, finalizzati ad aprire un tavolo di discussione e di condivisione che inveve non c’è stato”.
C’è la sensazione che si voglia fare in fretta.
“Il fatto è che si pensa di guadagnare tempo ma poi nella scuola tra ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato il tempo lo perdi dopo. La ricerca di consenso la devi fare dopo, non prima”.
Ai tempi del governo Prodi, tra il 2006 e il 2008, s’era aperto un vero spiraglio per i precari con il piano straordinario di 150 mila assunzioni diviso in tre tranches annuali da 50.000 assunzioni per anno. Nel 2008, dopo la prima quota e alla vigilia della caduta del vostro governo, avete bloccato la seconda tranche di assunzioni che forse avrebbero evitato tanti guai. Molti non ve l’hanno perdonato. Avete qualcosa da rimproverarvi?
“Quel piano lo volevamo fare sul serio e infatti abbiamo fatto un piano serio. Abbiamo spinto per la seconda tranche ma poi non abbiamo ricevuto l’autorizzazione dal Ministero dell’Economia e da Palazzo Chigi”.
Chi, di preciso, ha bloccato la seconda quota del piano, che pure era stato deciso con la Legge finanziaria del 2007?
“Chi garantiva la distinzione tra l’ordinaria e la straordinaria amministrazione ce l’ha etichettata come attività di straordinaria amministrazione.Ci siamo accampati nel Ministero dell’economia per sostenere quelle assunzioni. Quando hanno visto che ci sarebbe stata la caduta del governo, la parte diciamo economica del governo stesso ha stabilito che si poteva aspettare per la seconda tranche, per risparmiare, mentre la parte giuridica, cioè noi del Miur, l’avremmo portata avanti, ci credevamo davvero. Ma è stata giudicata come un’operazione straordinaria troppo tirata e ci hanno fermati”.
E ora ce lo chiede l’Europa…
“I tagli successivi sarebbero stati meno duri, ci sarebbero stati meno ricorsi e sarebbe stata meno dura anche la Corte di Giustizia di Lussemburgo, che ha chiesto le assunzioni. E con quello che è accaduto dopo, il rammarico è stato grosso”.