Il Miur organizza convegni sull’importanza del Cinese, ma ad insegnarlo manda solo supplenti
Anief – Mentre le università italiane si popolano di studenti iscritti ai corsi di Cinese, costringendo i rettori ad introdurre il numero ‘chiuso’, e il Ministero dell’Istruzione si diletta a realizzare convegni dedicati all’importanza della “didattica del Cinese-Mandarino nelle scuole superiori italiane”, il sindacato scopre che le cattedre dell’insegnamento del cinese vanno perse.
Anief – Mentre le università italiane si popolano di studenti iscritti ai corsi di Cinese, costringendo i rettori ad introdurre il numero ‘chiuso’, e il Ministero dell’Istruzione si diletta a realizzare convegni dedicati all’importanza della “didattica del Cinese-Mandarino nelle scuole superiori italiane”, il sindacato scopre che le cattedre dell’insegnamento del cinese vanno perse.
Perché lo stesso Miur, assieme al Governo, non ha permesso ai 175 docenti abilitati all’insegnamento del Cinese alle superiori, di inserirsi nelle graduatorie ad esaurimento e quindi di partecipare al piano straordinario di assunzioni della riforma.
Secondo il sindacato stiamo assistendo all’ennesima contraddizione di questo piano di assunzioni fallimentare: se è vero che il cinese è diventata una lingua “sempre più oggetto di interesse non solo perché facilita l'ingresso nel mondo del lavoro sia all'estero – per chi vuole trasferirsi – sia in Italia, permettendo così un accesso diretto alle informazioni relative, ad esempio, a imprese, produzione, basi monetarie, cicli del prodotto”, come ci hanno detto il 7 e 8 settembre gli esperti della materia, allora l’amministrazione deve spiegarci per quale motivo ha permesso negli ultimi anni, prima a 115 docenti precari e poi ad altri 60, di abilitarsi all’insegnamento e poi lasciarli al palo. Facendo perdere altrettanti posti al piano di assunzioni. E creando non pochi problemi in fase di assegnazione delle supplenze annuali, tanto che la maggior parte degli uffici scolastici territoriali ha difficoltà a far sottoscrivere i 100mila contratti fino al 30 giugno o 31 agosto del 2016.
“Ogni settimana che passa – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief – stanno sempre più venendo fuori le assurdità di questo progetto di riforma improvvisato: chi conosce la scuola sa bene, infatti, che ci sono delle classi di concorso famose per essere carenti di docenti. Come il sostegno e la matematica alle medie. E lo stesso non poteva che accadere per le nuove discipline, come appunto il cinese, per le quali il Miur ha messo a bando 175 posti negli ultimi anni proprio perchè c’era bisogno del loro apporto nelle scuole”.
“Nel frattempo – continua il presidente Anief – , si sono create le cattedre, perché la stessa amministrazione ci ha detto nei due giorni di convegno a Viale Trastevere che l’insegnamento del cinese è in forte espansione. Tutto è chiaro, quindi. Peccato che per chiudere il cerchio, bisognava assumere gli insegnanti selezionati e preparati allo scopo. Che invece, dopo essersi formati nelle università, pure a loro spese, al pari di quelli abilitati con Pas, Scienze della formazione primaria e all’estero, nelle intenzioni di chi amministra la scuola dovranno rimanere ancora supplenti per chissà quanti anni”.
A rendere il tutto ancora più paradossale è il fatto che nelle prossime settimane, la Legge 107/15 ha dato facoltà alle scuole di deliberare, attraverso i Collegi dei Docenti, il fabbisogno di insegnanti da collocare nel cosiddetto organico aggiuntivo: in linea teorica, si tratta di un potenziamento importante per ogni istituto perché porterebbe sei, forse sette, docenti in più. Che andranno anche a migliorare anche la didattica, anche se la tendenza, temiamo, sarà quella di utilizzarli come ‘tappabuchi’.
“Ora, se le scuole superiori con profili linguistici, come probabile, dovessero chiedere tanti docenti di cinese, il risultato sarà lo stesso delle fasi precedenti di assunzioni: il Miur, che negli ultimi anni ha cambiato ben tre volte il nome alla nuova disciplina in crescita, metterà centinaia di posti a disposizione per le immissioni in ruolo. Ma nessuno verrà assunto, perché questi precari, pur in possesso di tutti i titoli per entrare nei ruoli dello Stato, vengono lasciati a stagnare nelle graduatorie d’istituto. In attesa – conclude Pacifico – di partecipare all’ennesimo concorso”.