La scuola non può solo selezionare, deve farsi carico delle masse più povere. Lettera
Il valore e la funzione educativa della scuola è oggi messa in discussione da tutta una serie di errori, disfunzioni, negatività e divergenze, interne ed esterne, di ogni genere, che impongono una seria riflessione sull’organizzazione scolastica e sulla crisi dei processi formativi.
La difesa della scuola e dei docenti si fa sempre più blanda, aumentano le critiche e il pessimismo pedagogico costituisce un freno allo sviluppo e alla crescita dell’ “industria culturale”.
Praticamente, la scuola è pervasa da riforme, pratiche didattiche, impostazioni pedagogiche, teorie educative, spesso prive di fondamento e non supportate da adeguate sperimentazioni, che rilevano i loro limiti e dimostrano la loro incapacità a dare una risposta ai problemi posti dalle mutate condizioni sociali e culturali.
Si può dire, che nessuna epoca ha avuto come l’attuale, idee così varie, personali e contrastanti sulla scuola, sulla funzione docente e sui processi valutativi. Si tratta evidentemente di un contesto, quello educativo, così complesso, problematico, ideologizzato e, spesso, contraddittorio che non si riesce più a dotarlo di un efficace sistema di controllo e di un autentico e condiviso impianto teorico e scientifico.
In molti, con disarmante fatalismo, accettano la crisi, l’eclissi e il crollo dell’educazione, rinunciano a perseguire operativamente una concreta analisi delle strategie educative a disposizione, si lasciano dominare dalla preoccupazione della preparazione, attendono con ansia il risultato, il prodotto, senza tener nel giusto conto quel misterioso processo di crescita della persona umana che, in molti casi, genera rabbia, sconforto, delusione, desiderio di punizione e di condanna, ma, se visto con occhi diversi, chissà quali meraviglie potrebbe rivelare.
Pertanto, per evitare inutili quanto dannose strumentalizzazioni e comprendere alcune verità, le continue ed eclatanti notizie che, direttamente o indirettamente, quotidianamente chiamano in causa gli ambienti scolastici e i suoi operatori, necessitano di una analisi cosciente e consapevole dei compiti e delle idee nuove riguardo alla natura, alle funzioni e alle pratiche educative.
Aver posto come obiettivo la preparazione culturale, le competenze, le conoscenze, va bene: sono la garanzia del successo scolastico, il principio vitale di una educazione armonica ed equilibrata, resa feconda dalla cooperazione. Ma l’idea madre di tutta l’educazione, ovvero, l’alunno al centro di tutto, non può permettere di riparare solo nelle dolci e gratificanti risposte di ragazzi preparati, seguiti e motivati, deve lasciar trasparire i segni visibili della fioritura invisibile dell’amore, quell’amore che raggiunge tutti, che placa gli animi più tormentati e refrattari, che rasserena le vite più ribelli, che incrocia e addolcisce gli sguardi più ostili.
Prima di parlare di competenze, conoscenze, valutazione, educazione, è necessario preparare l’alunno a riceverle con un’altra educazione che riguarda e coinvolge tutti: l’educazione a prendere in carico, a prendere in cura, che oggi deve assumere una grande importanza e preparare il terreno sul quale edificare la struttura che dovrà portare i suoi frutti.
I docenti, oggi più di ieri, non possono ignorare o sminuire il ruolo sociale dell’educazione che, per procedere liberamente sulla via pratica della ricerca, dello studio sistematico di ogni alunno da cui si potranno ricavare importanti informazioni capaci di liberare le forze e le ricchezze interiori di ciascuno, deve attingere da una precipua antropologia pedagogica.
Le scienze dell’educazione devono, in pratica, avere come laboratorio la scuola e come sperimentatori gli stessi insegnanti che, con il segno distintivo della ferma dolcezza e della indicibile carità, possono concorrere a risvegliare l’intelligenza emotivo-affettiva e rimettere in armonia rapporti interpersonali, esperienze culturali, occasioni di sviluppo, acquisizione di conoscenze.
Lanciare anatemi contro la scuola che promuove, che ha bandito ogni autentico criterio di selezione e accertamento del merito, significa riproporre, in un periodo in cui i dati relativi alla dispersione scolastica sono in continuo aumento, modelli educativi, come aveva giustamente denunciato un po’ di anni fa M. Montessori, di profonda inciviltà: l’isolamento delle masse più povere.
In un ambiente in cui non vi è traccia di viver civile, di stimoli favorevoli, occorrono nuove condizioni di vita che solo l’educazione può determinare e dare un prezioso contributo. La grandezza e la forza dell’educazione sta nel rendere fecondi e produttivi terreni aridi, impervi, abbandonati, nell’attenuare povertà, vizi, abbandoni, immoralità ecc., nel proporre modelli di vita sociale e morale in cui ciascuno può ritrovare la sua dignità umana. È fin troppo facile seminare e raccogliere buoni frutti su terreni fertili e irrigati, dove c’è armonia e unità d’intenti tra famiglia e scuola.
Ma, laddove la famiglia è una specie di fantasma irraggiungibile, occorre un’impostazione antropologica dell’ educazione che consideri gli allievi anche da un punto di vista sociale.
Per questa ragione, le vere o presunte sufficienze non meritate, non dovrebbero esplicitare qualitativamente l’identità del soggetto nei suoi progressi o nei suoi ritardi, ma porre alla base del processo didattico la conoscenza dell’alunno nei tratti più intimi della sua personalità e contribuire alla progressiva maturazione della coscienza di sé e del proprio rapporto con il mondo esterno. È evidente che, in contesti dove l’ambiente non è favorevole, l’edificio culturale viene colpito alle sue basi ed è difficile riparare ai danni subiti. Ancora una volta si tratta di porsi su una linea più avanzata che stimoli azioni didattiche e interpretazioni valutative differenti, perché riferite ad alunni concreti, ciascuno diverso, segnato da esperienze diverse.
Pertanto, a livello educativo è improprio parlare di compromessi perché l’educazione è, fondamentalmente, un’azione orientata a costruire un ambiente favorevole, a rivolgere in modo efficace le proprie attenzioni a tutti e ciascuno e, per questo, non può assumere come simbolo della crescita dell’alunno, una insufficiente misurazione quantitativa, utile solo a sviluppare difese, espressa in voti numerici.
Fernando Mazzeo