Il bullismo virtuale è un problema reale
Riflessione di Tommaso Barone, preside di ICOTEA, istituto di formazione accreditato dal MIUR, e consulente in sicurezza del lavoro specializzato nel Settore Scuola, sul tema del cyberbullismo
La mia attività di consulente ed esperto sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, con specifica competenza sul settore scolastico, mi ha più volte indotto ad alcune considerazioni.
Ho sempre rilevato che, purtroppo, il rischio di incidenti o di infortuni sul lavoro non è mai vissuto dai miei interlocutori, siano essi dirigenti scolastici o docenti, amministrativi o tecnici, popolazione studentesca o famiglie, con l’assillo senza tregua di chi si affretta a preservarsi da un pericolo fisicamente e materialmente incombente. Prevale sempre l’atteggiamento più rilassato ed autoindulgente di chi si uniforma a prescrizioni normative e ad adempimenti burocratici, ma non ritiene di dover anticipare incidenti certi.
La sicurezza fisica la si persegue con meno tormento di quello che procura l’insicurezza psicologica della vittima di cyberbullismo. Nelle scuole il fenomeno è una piaga.
Un’indagine di “Save The Children” sul tema “I ragazzi e il cyberbullismo” rivela che per il 72% degli adolescenti e giovanissimi italiani il cyberbullismo costituisce il fenomeno sociale più pericoloso del proprio tempo.
I social network sono i canali d’azione preferiti dal cyberbullo, che di solito colpisce la vittima attraverso la diffusione di foto e immagini denigratorie o sessualmente compromettenti, la divulgazione di frasi minacciose o ingiuriose, o tramite la creazione di “gruppi contro”.
La diversità, nelle sue varie declinazioni, attrae i cyberbulli, giocando un ruolo primario. L’aspetto estetico, la timidezza, il supposto orientamento sessuale, l’essere straniero, l’abbigliamento non convenzionale, la bellezza femminile che spicca nel gruppo, e persino la disabilità possono essere valide motivazioni per prendere di mira qualcuno. Non sono pochi gli episodi di risentimento e di ritorsione sentimentali.
Gli episodi di bullismo, con l’aiuto di un telefono cellulare e di un computer, fanno il giro del mondo in pochissimo tempo. La rete è spesso una selva oscura, ricca di angoli bui, dove l’ultima generazione, quella che è capace di dialogare con il mondo davanti allo schermo di un computer, si introduce sempre più spesso. Nella giungla dei siti, dei blog e dei video pubblicati online, si trova un mondo che va al di là dell’immaginazione. Raramente gli adulti si affacciano a controllare cosa si verifica da quelle parti.
Per l’80 per cento dei minori intervistati la scuola rappresenta l’ambiente elettivo del bullismo nella vita reale.
In quella virtuale, attraverso un utilizzo pressoché costante di dispositivi di ultima generazione, la violenza aumenta perché trova eco e rinforzo.
Il cyberbullismo è in forte aumento, anche tra i giovani adulti. Certo, esso trae radice da molti fattori che riguardano la famiglia, il contesto culturale e sociale, le modalità di gestione dell’aggressività e dei conflitti emotivi.
I comportamenti aggressivi del bullo, sia reali che soprattutto virtuali, sono sempre intenzionali, premeditati, e la vittima, soggetto più debole ed incapace di difendersi, insultata in modo reiterato, si trasforma in individuo umiliato, spaventato, escluso ed emarginato.
Questi episodi si consumano frequentemente in ambito scolastico, ma anche negli ambienti sportivi, ricreativi, ludici, nelle palestre, negli oratori e nelle sedi delle associazioni giovanili. Essi hanno come protagonista la violenza psicologica. Il cyberbullismo la conduce alle estreme conseguenze, perché, in assenza di feedback non verbali, scompare la possibilità di cogliere le reazioni dell’altro. L’anonimato genera un affievolimento delle remore etiche e dei sentimenti di colpa per il male che si sta facendo alle vittime, prevalentemente donne.
Nella rete colgo spesso i sintomi della degenerazione di un’epoca che ormai vive oltre il senso sella privacy, ossessionata dal bisogno di condividere e di raccontarsi. I gesti di bullismo miravano alla conquista di un più elevato status nel gruppo; quelli di cyberbullismo rispondono ad un’esigenza di consenso, di condivisione, di sponsorizzazione, solo per ricevere più click nella propria pagina web. Quelli che nella vita reale potevano rimanere casi isolati, in rete rischiano di diventare la norma.
Nel torbido pantano della condivisione, si immerge una materia di ambizioni, idee, paure, dubbi, violenze e pregiudizi, che sono lo specchio anonimo della società contemporanea.
Tra la generazione che ha scoperto il cellulare e quella che ha fatto del virtuale il proprio reale, rischia a volte di aprirsi un abisso.
Le conseguenze del bullismo online sono più gravi e imprevedibili, tendenzialmente fuori controllo, perché nella rete le immagini, i video e le offese verbali permangono senza limiti di tempo e di spazio. Fare irruzione nella vita privata altrui, protetti dall’anonimato, rende molto difficile la reazione. Le azioni online hanno dunque effetti offline. La vittima manifesta disagio, angoscia, tormento. I sintomi sono sia fisici che psicologici: l’isolamento, la paura, la compromissione del rendimento scolastico, il rifiuto di recarsi a scuola. Viene erosa anche la volontà di aggregazione e di partecipazione ad altre attività sportive, ludiche o di socializzazione.
Spesso si finisce per ritenere il suicidio l’unica soluzione per sottrarsi al dolore. È il caso di Carolina, 14 anni, studentessa di un istituto tecnico, che nel Maggio 2015 veniva sottoposta a violenza sessuale di gruppo, filmata, con video diffuso in Rete, su Facebook. Per farla finita, sceglieva il salto nel vuoto, lanciandosi dal terzo piano della sua casa di Novara, dove viveva col padre. Un’altra quattordicenne di Fontaniva (Padova), nel Febbraio 2014, saliva sul tetto di un hotel abbandonato e si gettava giù, dopo essere stata bersaglio di frasi agghiaccianti, comparse in una chat molto in voga tra i più giovani e basata sull’anonimato. Potrei continuare con Tiziana Cantone, la trentunenne di Mugnano (Napoli), morta suicida il 13 Settembre scorso, dopo la diffusione sul web di video hard che la ritraevano. E così via per centinaia di casi.
Gli strumenti normativi esistenti nel nostro paese si sono limitati fino ad oggi al Decreto Legislativo 9 Aprile 2003, n.70, sul commercio elettronico, ed al Codice della privacy, approvato con decreto legislativo n.196 del 30 Giugno 2003. Ma proprio negli ultimi mesi, prima la Camera dei Deputati, col disegno di legge 3139, e poi il Senato della Repubblica, dove il d.d.l. ha assunto il n.1261-B, hanno formulato un testo che potrà diventare legge tra non molto tempo. I suoi contenuti principali sono una più puntuale definizione legislativa di cyberbullismo, il diritto della vittima a pretendere la rimozione dei contenuti diffusi in rete, l’individuazione in ogni istituto scolastico di un referente per le iniziative contro il bullismo, coadiuvato da polizia postale e dalle associazioni territoriali, la reclusione da uno a sei anni dello stalker informatico, l’ammonimento del questore per i reati non procedibili d’ufficio, l’istituzione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri di un tavolo tecnico per la redazione di un piano d’azione contro il cyberbullismo.
Ma le norme, pur importanti se colmano un vuoto, rischiano di non essere utili se l’educazione, nelle famiglie e nelle scuole, disattende il suo compito. Il codice della strada è poco utile a chi si ubriaca tutti i giorni.
Bambini e adolescenti bulli sono lo specchio di una gioventù spesso lasciata sola a se stessa, con genitori che talvolta non hanno tempo per educare davvero, tra lavoro e impegni personali, e strumenti che stanno sostituendo pian piano la bellezza dello stare a tavola e dialogare e confrontarsi.
Non è una condanna ai social network, che sono una delle invenzioni più belle e utili dei nostri anni, ma una critica al loro uso distorto e spregiudicato. I genitori e la scuola siano sentinelle digitali, ma soprattutto educhino al dialogo e al rispetto. Il primo edifica la civiltà, il secondo la riempie di contenuti.