Disturbi Specifici Apprendimento, Palmieri: a scuola si diagnosticano disturbi che nemmeno esistono

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190mila è il numero, impressionante, di ragazzi certificati come affetti da dislessia o da altri disturbi specifici dell’apprendimento nel nostro Paese.

Per qualcuno sono troppi, per qualcun altro pochi. A dieci anni dall’entrata in vigore della Legge che riconosce e tutela i DSA, anche nelle sedi istituzionali si comincia a discutere della legittimità e della costituzionalità della norma, come ha dimostrato il convegno dello scorso 25 ottobre al Senato promosso dall’Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare e dall’Associazione Nazionale Pedagogisti Familiari.

Ne abbiamo parlato con Vincenza Palmieri, Presidente dell’Inpef, centro di ricerca e di formazione che ormai da diversi anni si oppone con autorevolezza e vigore alla filiera diagnostica e alla medicalizzazione dell’apprendimento.

Professoressa Palmieri, è tempo di bilanci per la legge 170.

“Proprio così, da una parte c’è qualcuno che sta celebrando i dieci anni della 170 chiedendosi che cosa sia stato fatto e quanto ci sia ancora da fare per giungere a una completa attuazione della norma, dall’altra parte si è levato un grido di allarme che è l’esatto opposto di una celebrazione”.

Come si può non essere favorevoli a uno strumento giuridico che tutela i diritti dei minori ad apprendere e a seguire un percorso di formazione idoneo alle loro attitudini?

“Il punto non è essere favorevoli o non favorevoli, ma rendersi conto che una parte consistente della comunità scientifica e accademica si sta interrogando sull’impatto che questa legge ha avuto nel mondo della scuola, analizzando le storture che sta producendo la tendenza a patologizzare, a diagnosticare disturbi che talvolta nemmeno esistono o che, comunque, sarebbero perfettamente gestibili grazie a una buona didattica”.

Invece, in molti casi si ricorre sistematicamente a figure esterne alla scuola e non si può trascurare di notare che si è creato un po’ un business intorno ai disturbi specifici dell’apprendimento.

“È acclarato che un business si crea solo quando non ci sono altre alternative né metodologiche né istituzionali e noi, proprio nel corso del convegno di fine ottobre, abbiamo dimostrato che la nostra cultura nel campo dell’educazione e dell’istruzione ci mette a disposizione strumenti straordinari. Queste riflessioni ci stanno portando ad evidenziare le ambiguità della legge, avanzando il dubbio che essa possa essere incostituzionale”.

La 170 è una legge che in molti definiscono una svolta culturale epocale, quali considerazioni portano a metterne in dubbio addirittura la costituzionalità?

“Innanzitutto la 170 è l’unica legge del nostro ordinamento che sancisce l’esistenza di una patologia, la dislessia, e determina strumenti compensativi e dispensativi, mentre non esistono istituti giuridici che facciano altrettanto col diabete o con l’ipertensione. È una legge ambigua che, in sostanza, cancella la nostra cultura pedagogica e didattica, introducendo nel vocabolario della scuola e del mondo educativo concetti che le sono profondamente estranei, propri dell’area sanitaria, come ‘screening’, ‘diagnosi precoce’, solo per fare qualche esempio”.

I vostri rilievi hanno già avuto udienza e risonanza nel mondo politico?

“Dopo l’interpellanza parlamentare che abbiamo presentato in estate, il nostro Comitato tecnico-scientifico sta lavorando sodo per presentarli quanto prima all’attenzione del Miur; lo scopo in questo frangente politico particolare è poter dialogare con chi prenderà in mano la situazione dopo le prossime elezioni”.

Qual è l’auspicio?

“Credo che la prossima legislatura ci riserverà un ascolto più sensibile, allora la nostra azione diverrà veramente efficace e potremo procedere a una revisione dell’impianto metodologico non solo della 170, ma anche delle linee guida”.

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